“Fiale” di Elena Rui
Recensione di “Fiale” (Mupe, 2015) di Elena Rui, vincitrice del Premio Malerba nel 2013.
Vittorio porta lo stesso nome di suo zio, e come lui soffre di una grave malattia cardiaca. A differenziarli è la diversa direzione che questo male impone alle vite di entrambi, un fattore che si rivela decisivo per cambiare il destino di una persona; così come decisivo si ritroverà a essere il Vittorio nipote, che, leggendo una lettera di sua nonna, preferirà distruggerla per non modificare l’immagine che dell’anziana signora si è ormai imposta nelle menti dei parenti più stretti.
Così inizia il percorso che, a partire dal primo racconto, ci guida lungo la lettura delle sette novelle contenute in Fiale, la raccolta scritta da Elena Rui, vincitrice del premio Luigi Malerba nel 2013 e pubblicata presso la Monte Università Parma Editore; così inizia un percorso tortuoso attraverso la vulnerabilità dei vari personaggi in gioco, lacerati e abbandonati a una condizione di instabilità a causa delle conseguenze derivanti dalle azioni, dagli episodi, dalle decisioni – proprie o altrui – o dal semplice operare del caso, capace di trasformare elementi anche minimi in qualcosa di micidiale e definitivo.
Similmente al gioco degli scacchi, dove il movimento costante dei pezzi porta a continui mutamenti dell’equilibrio della scacchiera, dove una pedina, a seconda delle varie possibilità e combinazioni che si vengono a creare di volta in volta, risulta essere più o meno debole, più o meno decisiva o prossima all’eliminazione, così le figure umane ideate da Elena Rui sembrano in balia di uno schema di forze nel quale cercano di orientarsi e sopravvivere, confrontandosi con le dinamiche quotidiane proprie dell’esperienza umana, in particolare con il mondo degli affetti e dei rapporti interpersonali. La sfera affettiva è allo stesso tempo un rifugio e una fonte di preoccupazione e di disagio: Vittorio può contare su una fidanzata affettuosa che gli restituisce quella tranquillità che non riesce a trovare nella famiglia; la lettera che occupa quasi per intero il breve Semplicemente non sarai più qui racconta di una storia sofferta e vissuta in maniera ambigua, fino alla sorprendete conclusione; il protagonista dell’ultimo racconto, quello eponimo, confida all’ex amante Anna le sofferenze e le inquietudini per l’atroce caso di malasanità in cui si trova coinvolto a causa di una banale distrazione, per poi congedarsi da lei con una lettera. Quest’ultimo episodio, in particolare, dà un’idea dell’importanza dell’elemento epistolare (e, più in generale, della scrittura stessa) all’interno del libro. Molte volte ritornano le lettere, i messaggi, le mail, come se, tramite la scrittura, i personaggi cercassero di fermare il flusso, la concatenazione di eventi nella quale sono immersi, per mettere un punto, per definire una volta per tutte la loro posizione tendendo a qualcosa di stabile e duraturo ma che, infine, non può sottrarsi al gioco di combinazioni di cui si parlava prima. Tuttavia, la scrittura non esce sconfitta: a contraddistinguere Fiale è una fiducia nella parola, ovvero nel tentativo di comprendere e di trovare un canale di comunicazione con gli altri.
Elena Rui interroga le possibilità che si offrono alla scrittura e, più in generale, alla letteratura, disegnando una serie di storie che mettono a fuoco quei fatti o quei gesti – anche minori o quasi invisibili – che, agendo o per volontà esplicita o per una casualità di eventi, determinano l’andamento e il significato della vita degli esseri umani, alla continua ricerca di un contraddittorio contatto tra loro stessi.