“Ferite. Storie di Berlino” di Stefanie Golisch
Recensione di “Ferite. Storie di Berlino” (Ensemble, 2014) di Stefanie Golisch.
Nel breve ed efficace saggio sul Perché leggere i classici, Italo Calvino, dopo aver presentato le varie caratteristiche necessarie per identificare un testo classico come tale, conclude precisando che i classici non vanno letti perché “servono” a qualcosa, ma perché averli letti è sicuramente meglio che non averlo fatto, avvalorando la sua tesi con una citazione di Cioran, il quale ricorda le ultime ore di Socrate, spese dal filosofo greco nell’apprendimento di un’aria sul flauto, non perché servisse a qualche cosa, ma solo per impararla prima di morire. Calvino, inoltre, mette in guardia il lettore sulle difficoltà poste ai classici lungo la strada della loro diffusione, poiché viviamo in tempi poco avvezzi alla lentezza e alla calma necessarie per un fruttuoso incontro con le loro manifestazioni; e a ciò aggiungiamo pure, dal canto nostro, che risulta quasi inaccettabile, anche a livello di senso comune, l’idea di spendere tempo per qualcosa che, appunto, “non serve”, non produce, non arricchisce se non culturalmente o spiritualmente.
Eppure, nonostante la situazione di precarietà e nonostante da più parti si denunci il suo stato di pericolo (Todorov e Ferroni hanno scritto pagine importanti in merito), la letteratura continua a impostare il suo dialogo incessante, a diffondere testimonianze e racconti, non per gratuito gesto abituale, ma perché, radicandosi nel vissuto e nell’esperienza, sente lo spontaneo bisogno di farlo.
Ed è proprio sotto questa luce che si presentano le quindici vicende di Ferite. Storie di Berlino, scritto da Stefanie Golisch per la romana Edizioni Ensemble, nel quale l’autrice offre spazio a varie storie diversamente intrecciate con Berlino e con la Germania, riportando a galla impressioni, memorie ed esperienze dimenticate o ignorate, sepolte nel flusso del tempo, ma che alla maniera di indelebili cicatrici sono ben impresse nel territorio berlinese. Storie che tra di loro si richiamano e si rispondono, che alludono anche a quanto non è stato narrato o scoperto, giacché esse «sono soltanto una piccola parte di tutte le storie che attendono a ogni angolo della strada di essere raccontate: non come esempio di qualcosa, ma semplicemente perché sono successe e continuano a succedere», come sottolinea l’autrice in sede di postfazione.
Le ferite di cui parla la partecipe e controllata voce di Golisch si rivelano grazie ad alcuni incontri con precisi luoghi berlinesi, avvolti dai ricordi e da un passato difficile con il quale viene impostato un misurato confronto, continuamente oscillante tra lo sguardo presente dell’autrice e il tempo trascorso, segnato da tragedie personali, grandi e piccole, riguardanti personaggi ben scolpiti nella storia – come Heinrich von Kleist, al quale è dedicato un bellissimo capitolo legato al luogo del suo suicidio, del gesto estremo di chi accetta il proprio destino nella consapevolezza di aver deluso la vita – e figure comuni, meno note, come gli «eroi silenziosi», ovvero gli oppositori che tentarono vanamente di organizzare una resistenza a Hitler e alla sua dittatura, «singoli individui che davanti all’urgente richiesta d’aiuto, scoprirono in sé il coraggio e, opponendosi istintivamente al male, si scoprirono uomini». Nel ricordare quest’ultima categoria di tedeschi, dal prete protestante Harald Poelchau agli eroici coniugi List, scatta inevitabilmente lo scontro con il dramma del nazismo e dell’oblio imposto nella Germania del dopoguerra anche a chi si oppose al regime, motivando tacitamente il tutto con l’estremo bisogno di ripartire, di dimenticare quanto era accaduto. Ma non è solo il nazismo la grande tematica storica del libro: ampio spazio trovano, infatti, la lacerazione della Germania per mano del Muro di Berlino e le controverse vicende di repressione messe in atto nella Berlino Est, dove è ancora possibile visitare i luoghi nei quali si consumò questa politica repressiva.
Tante, quindi, le questioni toccate dalla prosa di Golisch, in un rapido e intenso viaggio tra intellettuali e cittadini, tra artisti e gente comune, tra passato e presente alla scoperta dei segni rimasti sulla pelle di una città ricca, al cui interno si consumano e si sono consumate storie su storie a creare un movimento incessante e impossibile da controllare, ma che vale la pena tentare di arrestare e immobilizzare mediante la letteratura. Perché? Perché raccontare queste storie è meglio che non farlo.