Estratti da “Elio Fiore Mario Luzi. Le allucinate verità” a cura di Paolo Rigo e Emiliano Ventura #Ricordo di Elio Fiore
Pubblichiamo “Ricordo di Elio Fiore”, il primo di due estratti presi, per gentile concessione della Fondazione Mario Luzi Editore, dal volume di prossima uscita “Elio Fiore Mario Luzi. Le allucinate verità” a cura di Paolo Rigo e Emiliano Ventura.
Su Mario Luzi molto si è detto e scritto, è riconosciuto tra i maggiori poeti del Novecento e non solo, di Elio Fiore si stanno perdendo purtroppo le ‘tracce’. Di particolare importanza assume l’edizione dell’Opera poetica di Elio Fiore edita da Ares Edizioni e in uscita in questi giorni. Nel 2012 Maria Di Lorenzo pubblica La luce e il grido una monografia critica su Fiore. Si fatica a trovare altre testimonianze, nessuna ristampa delle sue opere, nessun contributo di saggistica (o molto pochi).
Da questo silenzio nasce l’idea del direttore editoriale della Fondazione Mario Luzi, Mattia Leombruno e dei due curatori, Paolo Rigo e Emiliano Ventura, di dedicare una miscellanea di saggi a Elio Fiore e al rapporto privilegiato con Mario Luzi.
Gli autori dei contributi sono nomi che seguendo una linea ideale che badi tanto alla tradizione quanto all’innovazione si dividono tra nomi eccellenti della critica italiana e giovani e promettenti ricercatori: Emerico Giachery e Noemi Paolini Giachery, Sabino Caronia e Fabiana Cacciapuoti, tra i più giovani Alessandra Mattei (poetessa e ricercatrice), lo scrittore e saggista Alessandro Zaccuri, il poeta Gian Piero Stefanoni. Tutti gli autori hanno portato l’esperienza di una conoscenza diretta del poeta, ricordi personali, piccoli aneddoti, testimonianze significative come la bella poesia di Diana Cavorso in cui ricorda la cena prima delle nozze di Elio.
Due scritti di Mario Luzi completano il volume, la prefazione a In Purissimo azzurro e una recensione all’edizione dell’Antologica poetica edita da Albert Tallone editore (1999).
Di Emerico Giachery è stata recuperata la bella introduzione e a Nell’ampio e nell’altezza, oltre a un altro saggio su Fiore.
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Ricordo di Elio Fiore di Emiliano Ventura
Ho incontrato Elio Fiore nel dicembre del 2000, solo pochi anni prima che morisse. L’occasione dell’incontro è stato lo spettacolo tratto da Opus florentinum di Mario Luzi, Un angolo di notte ben gemmata, diretto dal regista e attore Ugo De Vita a Roma presso un oratorio e una splendida chiesa del centro di Roma.
Per la verità, quella di cui ho memoria, è stata una giornata passata nel nome di Luzi; doveva arrivare a Roma la mattina con un treno da Firenze. Io ero incaricato di accoglierlo e portarlo in albergo, poi saremmo andati insieme al ristorante e, infine, la sera allo spettacolo.
Quando il treno arriva in stazione il binario è invaso dalla folla per cui io perdo o non vedo Mario Luzi, il poeta si aspettava di trovarmi, non mi vede e da solo prende un taxi e va in albergo.
Chiamo il regista dello spettacolo: “Ho perso Luzi!” gli dico preoccupato, lui mi conferma che è già andato in albergo. L’appuntamento è ora al ristornate dove arriva Luzi e il regista De Vita.
Il pomeriggio lo passiamo insieme e la sera, sempre insieme andiamo allo spettacolo. In quelle ore che precedono la pièce Luzi mi confessa che quando non mi ha visto alla stazione ha chiamato Elio Fiore che al solito gli è stato di grande aiuto, forse gli ha chiamato il taxi ma non ne sono sicuro.
Andando verso la chiesa dello spettacolo Luzi mi dice che Elio sarà lì ad aspettarci, io chiedo delle considerazione sull’uomo e sulla poesia.
Conoscevo le prove poetiche di Fiore, avevo anche visto un documentario in cui lui si raccontava; i rapporti con i poeti, con la madre che lo ha salvato dal crollo della casa a san Lorenzo durante il bombardamento, il rastrellamento del Ghetto di Roma e, alla fine, il rapporto con Leopardi.
“Io ero rimasto sepolto sotto le macerie, abbracciato a mia madre, per ore, aspettando i soccorsi. Salvi per miracolo fu la Madonna a salvarci. Ricordo che mia madre pregò tutto il tempo: ‘Madre di Dio, salva mio figlio!’. Ci portarono feriti all’ospedale, quel fatto cambiò da un giorno all’altro il mio rapporto con Maria: lo rese più forte, e anche più maturo. Mia madre mi aveva messo al mondo una seconda volta”.
Più o meno queste sono le parole che ancora ricordo di quel documentario, alla fine della proiezione un ragazzo (un collega di studi universitario) etichettò le parole sulla sua seconda nascita come banali, non ho mai capito per quale motivo.
Nel documentario ricordo il candore con cui raccontava di aver incontrato Leopardi su una panchina di Napoli e di aver avuto da lui una sorta di investitura poetica.
In purissimo azzurro è la raccolta che attesta quell’investitura poetica, una lirica dà il titolo all’ omonima raccolta del 1986 con la prefazione di Mario Luzi.
Una breve nota finale specifica: ”Un’apparizione: vidi Leopardi nel settembre del 1958, presso la secolare magnolia della Biblioteca Nazionale di Napoli”.
Furono parole che mi colpirono molto, pensai a un furore poetico, un vero e proprio invasamento del profeta; Fiore era un sacerdote della poesia e della parola.
Naturalmente non mi lasciai sfuggire l’occasione di ascoltare Mario Luzi, sapevo anche che aveva prefato alcune sue raccolte:
“Per me è un bravissimo poeta, io lo stimo molto, sia come persona che come poeta, la sua è una poesia affabile e profetica. Naturalmente questa è la mia opinione, qualcuno non sarà d’accordo, poco importa”.
C’era un velo di polemica, sempre molto rara nelle parole di Luzi, non ho capito per quale motivo o se ce l’avesse con qualcuno in particolare.
Ricordo il sorriso e la luce del viso che Elio manifestò quando Luzi ed io arrivammo in chiesa. “Mario!”, quasi gridando lo saluta da lontano e subito si avvicina per non lasciarlo mai più per tutta la sera.
Tutto il tempo dello spettacolo è stato vicino a Luzi e a me, hanno parlato spesso a bassa voce e con complicità. A fine serata il regista, Ugo De Vita, mi chiede di accompagnare a casa Elio mentre lui sarebbe andato via con Luzi.
Io ed Elio saliamo in auto, velocemente sbriga la pratica di darmi l’indirizzo e inizia a guidarmi tra le vie che percorriamo.
Ricordo che Fiore abitava sulla via Gianicolense, più o meno nel poeticissimo quartiere di Monteverde, quello di Pasolini, Bertolucci e Caproni. Non abitava più da tempo al Ghetto ebraico, aveva lasciato l’appartamento del ‘Portonaccio’ al Portico d’Ottavia anni prima; lì c’erano i tre cortili che lui chiamava dell’Inferno del Purgatorio e del Paradiso.
Quando ha saputo che stavo compilando e preparando la tesi di laurea su Mario Luzi è impazzito di gioia: “Su Mario, che bello, la voglio leggere!”.
Era gratissimo a Luzi perché, anche grazie a lui, gli avevano concesso la pensione-vitalizio, la famosa Legge Bacchelli.
“Sai cos’è?”, mi domanda e io pronto con la risposta che lui accoglie contento, “È la pensione concessa dallo Stato alle personalità di chiara fama e considerate un patrimonio culturale”.
Da quel punto in avanti mi ha chiesto tanto dei miei studi e continuava a ripetermi che dovevo intervistare Luzi: “Fai un’intervista, fagliela… più di una, poi le raccogli e le metti nella tesi, la impreziosisce molto sai”. Lo ha ripetuto fino alla nausea.
Alla fine siamo arrivati a casa sua, non saprei ricordare né la via né la strada percorsa, era contentissimo della giornata. Mi ha dato il suo numero di telefono e mi ha fatto promettere di andare a trovarlo, di chiamarlo e di portargli la tesi di laurea una volta terminata; non potevo immaginare di quale grandissimo onore ero stato investito, a quale compagnia ero stato chiamato. Tempo dopo avrei saputo delle sue telefonate giornaliere agli amici, la distanza fisica veniva colmata da Elio con un uso tenace e cortese del telefono.