Don Chisciotte, breve analisi di un capolavoro travisato
In questi mesi sono in grande spolvero edizioni economiche del Don Chisciotte, oltre una rinnovata attenzione del mondo della cultura e del teatro per il capolavoro cervantino.
Ciò ha rianimato vecchi e recenti dibattiti e domande.
Come mai il Don Chisciotte è spagnolo? Perché non è stato scritto nulla di simile nel Belpaese, dove abbondano cavalieri erranti, umorismo e ironia? Me lo sono sempre chiesto, e in effetti approfondendo ho trovato delle buone spiegazioni.
Il Don Chisciotte non è soltanto un romanzo ironico e divertente, ma è un libro che ha alcuni aspetti particolarissimi, che trovano nella cultura ispanica una loro specifica ragione di essere.
In Italia molto spesso si dice “combatti contro i mulini a vento” per esemplificare l’idea che una persona lotti contro il potere, contro il “muro di gomma”, e in questo senso si dà del Don Chisciotte una visione che è quella di un bizzarro o pazzo cavaliere animato dall’idea di combattere per una giusta causa, armandosi grottescamente contro il potere e i privilegi, che spesso sono sordi e ben ovattati, imperscrutabili o circondati da un nido di vespe. Alcuni sottolineano come Don Chisciotte abbia buoni principi, ciò è del tutto in linea con quanto professato dai precetti della cavalleria errante, questo non lo rende un Robin Hood, anzi la savia pazzia che lo possiede si dimostra palese nella sua ortodossia quando afferma che egli non può intervenire le zuffe di coloro che non sono cavalieri come lui.
Da una serie di devianti aspettative nascono confusioni e poco calzanti interpretazioni: Don Chisciotte nella vita reale è un hidalgo, ovvero un individuo della media nobiltà, che gode di privilegi non conosciuti dalla stragrande maggioranza dei sudditi e vive una pazzia arricchita da una grande saggezza, che non lo mette al riparo da situazioni ridicole, fraintendimenti e dal guardare la realtà circostante attribuendovi significati altri, perché è qui che sta la vera parabola di Don Chisciotte, che spiega come questo capolavoro sia nato in Spagna e non in Italia. Concepito in un situazione umana particolare di Cervantes (carcere) dove ai fasti imperiali si opponeva l’inizio del decadimento economico e sociale di una certa Spagna (La Mancha) ecco Don Chisciotte, cavaliere errante che scambia mulini per giganti, baffute contadine per incantesimi su donne meravigliose, animali per altrettanti sortilegi, circostanze consuete per affronti, catini per elmi, ecc. E’ la parabola di come la pazzia o i percorsi della mente (Don Chisciotte) e l’ignoranza (Sancho Panza) facciano perdere l’uomo nei labirinti della conoscenza e della realtà delle cose. Il tema del viaggio e della ricerca come ansia di assoluto, e la possibilità dell’uomo di perdersi nei meandri di se stesso e della vita vivendo percorsi alternativi o bizzarri, sono temi storicamente molto sentiti nella cultura spagnola, forse debitrice in ciò del contatto con gli arabi, che vi hanno dato sviluppi certamente diversi nel corso della storia, ma la Spagna è anche una terra di mezzo tra il mediterraneo e l’oceano; un antropico contatto che ha plasmato i suoi uomini a valicare i confini.
Se il Don Chisciotte fosse stato solamente un romanzo ironico e divertente sugli usi della cavalleria del nostro medioevo o Rinascimento, sicuramente l’Italia avrebbe potuto esprimere molto di più, ma sarebbe mancata la sua origine nascosta, che è un po’ il significato profondo di Don Chisciotte.
Nel nostro cinematografico L’armata Brancaleone lo spirito donchisciottesco, sicuramente per alcuni versi molto riuscito ed esilarante, non tiene conto del punto di contatto tra dramma e commedia, ovvero uno dei pilastri di sostegno dell’opera di Cervantes a livello esegetico.
Vi è un’altra importante diversità, e cioè la cultura del “segreto” e della lotta contro i soprusi, così tipica della letteratura e della storia italiana, tale da piegare il Don Chisciotte a simbolo della lotta contro il potere e i “segreti di Stato”, non esiste in questo modo nella cultura ispanica, in quanto è più forte la coscienza che la giustizia sociale sia un fatto interno che dipenda da se stessi e da se stessi occorra risolverlo (guerra civile, franchismo, caduta della dittatura nel 1975-76 senza alcuna ingerenza militare esterna, caso molto raro) e il “segreto”, se non di amorosi sensi, è prova di scarsa forza, di poca virilità. Ciò può essere semplificato per esempio quando Don Chisciotte spiega la differenza fra offesa e oltraggio. E’ offesa se si colpisce una persona scappando senza essere visto, ma se si rimane è anche oltraggio. L’offesa da sola è poca cosa perché rimane un segreto e non vale niente, ma l’oltraggio… Da questo piccolo esempio si può comprendere la divergenza con l’Italia, dove tale distinzione è relativamente meno sentita.
Invece Don Chisciotte viene accolto in virtù delle sue gesta, della sua nobile e savia pazzia. Le corti, il popolo, gli osti divengono partecipi della leggenda di Don Chisciotte – le cui “imprese” sono già immortalate e hanno una loro epicità -. Come in una sorta di giro ciclistico moderno i nostri eroi vengono accolti ovunque con grande presenza di spirito.
I segreti esistono anche in Spagna? Sicuramente, ma non sono un tratto distintivo della cultura iberica come lo sono da noi, dove c’è sempre un “grande segreto” che muove la storia, i suoi protagonisti e non pochi avvenimenti.
Il Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento è la metafora della ricerca dell’identità e di quella persa, dell’uomo che si è smarrito nella pazzia dell’hidalgo o nell’ignoranza di Sancho Panza, quest’ultimo però portatore anche di valori e furbizie contadine. Credulone e di buon cuore Sancho sciorina proverbi in continuazione e si dimostra capace di comprendere spesso la bizzarria dell’avventura del suo signore e nel contempo di viverla dubbioso per quello che è, senza avere le idee chiare mai, e credendo o meno a quanto dice il nobile. Lo scudiero vive assieme al suo cavaliere errante la scommessa di un percorso. Il centro anche qui è nel viaggio e nell’avventura, nel vivere un sogno. Come afferma Dario Fo, il Don Chisciotte è appunto un sognatore, e anche quando Sancho si dimostra consapevole della pazzia del suo padrone non viene affatto meno la sua fedeltà, perché vivere la scoperta, il viaggio, perdersi nei meandri dell’esistenza, sono tra le più grandi necessità umane, e soddisfano un indefinito piacere: l’uomo-Ulisse che alberga in ognuno di noi.
Il romanzo perde un po’ quota nel finale, perché Cervantes sente un certo tipo di obbligo etico-sociale.
Quando il cavaliere e lo scudiero ritornano nel paese, Don Chisciotte legge come cattivo presagio un certo gioco di ragazzi. Sancho Panza lo canzona, dicendo che non può esser vero… Eppure capita qualcosa… La vita è sogno o realtà? Cos’è il sogno? Cos’è la realtà? Non è Gigi Marzullo, è uno dei sottotesti del romanzo.
E se fosse proprio “Don Chisciotte” il vero “Cammino di Santiago”?
Questa è Spagna!
N.B.
Precedentemente avevo letto solo una versione ridotta del Don Chisciotte. La grande curiosità mi è venuta quando a Venezia durante la presentazione di un suo film, Pedro Almodòvar ha paragonato un po’ a sorpresa la sua Mancha alla nostra Calabria… da questa piccola scintilla mi è venuta poi la voglia di rileggere il capolavoro cervantino, completo di tutte le note e le postille. Consiglio ovviamente l’edizione integrale.
[…] è così che si scopre che c’è ben oltre i mulini e lo sguardo pensieroso del fido Sancho Panza. Don Chisciotte è di per sé la interpretazione iconoclastica del mondo. Don Chisciotte è per molti un capolavoro […]
Condivido questa interpretazione. Il primo livello di lettura è che Don Chisciotte vede ciò che non esiste, quello che palesemente non è pertinente all’universo dei sensi e della razionalità spiccia, ma ciò è solo propedeutico alle autentiche interpretazioni. Va spiegata l’iconoclastia di Don Chisciotte: la realtà esiste solo in quanto connotazione della mente e dell’anima umana. Quando muta il nostro modo di confrontarci con la realtà, anche questa risponde in modo diverso, e ci accadono delle cose che non avremmo pensato, ma siamo noi per primi a cambiare il nostro atteggiamento nei confronti del reale. Don Chisciotte è un iconoclasta rispetto all’evidenza tanto magnificata quanto effimera e fallace del mondo. Se si vuole conoscere il reale occorre munirsi come il nostro eroe di un buon ronzino e di buoni compagni di viaggio (altre di una necessaria solitudine), percorrendo una via polverosa (tratto comune a molta letteratura iberica, latina e mediterranea). Mi viene da pensare – e chiedo perdono per l’ardire – che molti in questi anni affascinati da un libro come “Il Cammino di Santiago” si siano messi in viaggio per percorrerlo, rimanendo in fondo delusi dal fatto che nulla sia loro accaduto. Il presupposto è sbagliato: ciò che fa speciale il cammino non è nel tratto geografico, ma nel modo in cui lo si vive. Solo così la realtà – nel senso più vasto del termine – risponde in modo dinamico. Io certamente faccio parte di quelli che considerano Don Quijote dela Mancha un capolavoro universale.
Solo chi si perde nelle strade del mondo reale e immaginario può trovare se stesso e la realtà.