“37° 2 al mattino” di Philippe Djan
Recensione di “37° 2 al mattino” di Philippe Djan (Voland).
Una niña mala meno “mala” e più combattuta, inquieta, straripante di vita in ogni sua azione, estrema in tutti i gesti e i sentimenti.
Un uomo innamorato dell’Amore e di lei, Betty, per la quale scende a compromessi, accetta di essere un fuggitivo migrante, si fa carico anche di imprese non propriamente lecite.
Un amore straripante in tutte le sue manifestazioni, dal sesso in ogni dove e in ogni momento al cuscino sulla faccia che lo uccide, che recupera elementi tipici del lirismo della tragedia greca e li attualizza nel fare quotidiano, rendendo anche la preparazione di una cena un atto liricamente simbolico.
Il bellissimo romanzo di Philippe Djan, 37° 2 al mattino, edito da Voland e prestato al grande schermo per la versione cinematografica dal titolo Betty Blue di Jean-Jacques Beineix, ha in sé tutti gli elementi del romanzo psicologico, delle più grandi storie d’amore e di quelle di follia, sapientemente narrate in prima persona con registri verbali che variano dal colloquiale -e spesso anche sboccato- al colto autodidatta.
Una storia d’amore imperfetta, che non possiede elementi cavallereschi o d’amor cortese, bensì è fortemente carnale, viva, estrema in tutte le sue sfaccettature. Perchè i suoi stessi protagonisti lo sono; vibrano in ogni azione di una forza intrinseca che li porta a vivere ogni singolo istante come fosse l’ultimo loro concesso.
Dall’incendio iniziale metaforico del loro amore divampante, presto si passa ad un incendio reale, quello dell’abitazione loro concessa all’interno di un complesso di edifici dove il protagonista lavora come tutto-fare, causato dalla straripante Betty, stanca degli atteggiamenti vessatori del datore di lavoro di lui.
Inizia con una fuga dal presente il lungo viaggio migrante del loro amore, che li porta dapprima a vivere in una piccola cittadina dove lavorano come camerieri in una pizzeria e poi ad un’altra piccola cittadina, dove si mettono invece a vendere pianoforti.
Ma il sogno di Betty è dare giustizia all’ingegno del suo amato; scartabellando nelle sue cose, infatti, scopre dei taccuini che compongono un romanzo, a suo dire un capolavoro. Ne batte a macchina ogni singola parola, Betty, con una caparbietà ed ostinazione che hanno come cartina di tornasole reazioni esagerate quando arrivano le lettere di disinteresse al manoscritto da parte dei molti editori da lei contattati. Addirittura aggredisce fisicamente un editor, reo di aver pesantemente denigrato quanto inviatogli.
Tutto fa Betty, per “amor di giustizia”.
È una perenne corsa verso la realizzazione dell’intelletto del suo uomo che spinge Betty a non accettare i no sulla loro strada, una non accettazione che la tramuta in novella Medea, accecata dalla vendetta per le ingiustizie subite, e che tuttavia la inaridisce, non permettendole nemmeno di essere fertile giaciglio del tanto desiderato figlio.
Un rapporto dicotomico la lega al suo uomo; da una parte lo brama, dall’altra lo accusa di inanismo e mancanza d’ambizione. Ci deve perciò pensare lei a renderlo ciò che in potenza è: un grande scrittore.
Per questo Betty non accetta i compromessi cui lui scende per garantir loro una vita fruibile, e per questo lui si ingegna a realizzare un rocambolesco furto di denaro travestito da Josephine; un do ut des che sembra avere sempre dei giocatori ìmpari, che mettono sul piatto cose diverse e di valore differente, a prima vista non equivalenti nè, tantomeno, complementari.
La continua tendenza a raggiungere il Sole brucia però le ali di questa Icaro in gonnella, che, sfinita, attenta alla sua vita, senza riuscire nemmeno in questo, il che la rende ancor di più un sacco vuotato di tutte le intenzioni.
Infine è ancora l’Amore, nei panni di Josephine, che la libera dal dolore dell’insuccesso, Amore ancora e di nuovo estremo cui si fa carico il suo cavalier servente. Un Amore che riporta la quiete dopo la tempesta. Una quiete dove, sorprendentemente, il manoscritto che apparentemente aveva fatto impazzire Betty, diventa finalmente libro.
Anche se scritto a metà degli anni Ottanta, il romanzo di Djan è attualissimo, con tutte le contraddizioni e le instabilità degli esseri umani che, insoddisfatti del loro vivere quotidiano ricercano sempre l’assoluto e l’eroico nel singolo gesto e nella vita privata, come a ripagarsi delle frustrazioni che la società e l’indifferenza dei rapporti umani generano. Un “pugno portato alla bocca, come a dargli un bacio”, che in realtà però trafigge la finestra. Questo è l’Amore per Djan; questa è la vita. Questa è la sua Betty.