“Di ricordi prigioniera”, di Francesca Tripodi
Recensione di “Di ricordi prigioniera” di Francesca Tripodi.
Senza avviarsi in sperimentazioni semantiche troppo ardite, o in colpi violenti atti a sfondare le coscienze, “Di ricordi prigioniera” cerca di dare un segno, un colpo al lettore perché si svegli.
Dal punto di vista della forma, è la musicalità delle liriche che sembra prevalere. Ognuna infatti possiede un ritmo ed una sua musica, a volte raggiungendo i confini del campo della canzone. Non mancano quasi mai le rime, e spesso si nota la presenza di veri e propri ritornelli, anche con frasi ripetute. Incontriamo anche una citazione ritmica a Dante Alighieri nella poesia La Divina Commedia: “Sull’uscio di una diroccata reggia / sta una donna in silenziosa attesa”. Il tema e le parole sono altre, la citazione è prevalentemente sonora, ma sembra questo un tratto apprezzabile quando si parla di poesia. Tutto questo “canzonare” però non si traduce né in una ripetitività cantilenante delle liriche, né in una superficialità tonta dei contenuti. Non sgrazia il tutto né lo rende eccessivamente banale. L’autrice cerca sempre, riuscendoci in alcuni casi più e in altri meno, di mantenere l’attenzione su ciò che vuole dire. Sono alcuni momenti della vita – trasfigurati anche in forma fiabesca a volte – e il viaggio della vita più in generale ciò di cui lei vuole parlare. Di come l’uomo sia dimentico della sua identità e viva ipnotizzato, coperto di maschere, con tanto di elmo e corazza. O almeno, questo sembra trapelare dalle sue parole. È certo che non manca anche qualche momento di eccessivo “patetismo” o alcune immagini ricorrenti che si possono ritrovare similmente descritte lungo tutto il libro.
Dal punto di vista espressivo, Francesca Tripodi riesce a scuotere con immagini forti e rimandi semantici sottili. Le sue labbra di carta, la sua pelle strappata “dalla fronte al mento”, l’aquila che muore gemendo e con le ali spezzate, puntellano il ritmo cullante dei versi, che tendono invece a portare in una tranquillità musicale che non presagisce così vivi richiami alla realtà. Non troppo violenti e non troppo letali, ma comunque forti, che colpiscono. Si passa da grandi immagini espressive a momenti più semplici, più quasi ludici o di cantilena, appunto, dove si trovano altri pensieri alleggeriti vuoi dal ritmo, vuoi dal lessico. Liriche come L’aquila ferita, Se dovessi un giorno incontrarti, riescono a trasmettere un forte senso di situazioni concrete mescolate a sensazioni più inquiete e più sottocutanee. Molte volte ci si trova a sentire queste immagini, anche quando non trattano argomenti di per sé dirompenti. Insomma una poesia che, come già sottolineato, pur senza spingersi nell’esplorazione sperimentale selvaggia o nel grido violento di verità nascoste (che rimangono comunque atteggiamenti molto apprezzabili in un poeta), senza pretese di cambiare il mondo o di sbattere in faccia al lettore tutto ciò che vuole dire, riesce a penetrare la corazza dei disattenti e a trasmettere certamente alcune forti immagini, alcune forti sensazioni ed alcuni forti valori come il coraggio davanti alla vita, l’orgoglio e la difficoltà a non abbassare la testa di fronte al mondo, o le difese di fronte a chi si ama.
Certamente un buon risultato per una prima raccolta di poesie.