Di quante parole ha bisogno un racconto? Il Microracconto @Piulibripiulibri
A Più Libri Più liberi, venerdì 5 dicembre, si è tenuto, presso la Sala Diamante, l’incontro dal titolo “Microracconto. Racconti brevi: le nuove forme di narrazione”.
Di quante parole ha bisogno un racconto? L’incontro dal titolo “Microracconto. Racconti brevi: le nuove forme di narrazione” tenutosi lo scorso venerdì 5 dicembre, all’interno della Fiera Più libri più liberi di Roma, ha approfondito la questione della microfiction grazie all’apporto di nove autori provenienti dal sud e dal centro America, coordinati da Francesco Fava, docente di letteratura Ispanoamericana presso l’Università Iulm di Milano.
Gli scrittori ospiti dell’evento, a cura di IILA Istituto Italo – Latino Americano, sono stati unanimi nel ritracciare una radice antica del microracconto e riconoscere una larga diffusione nell’area latino americana.
Il primo intervento è stato affidato all’argentina Rosalba Campra , scrittrice oltre che docente ordinario di letteratura Ispanoamericana presso La Sapienza. Campra ha messo in rilievo come il microracconto sia una forma breve che suppone un mondo enorme, in cui trionfa il non detto, ragion per cui necessita di un’alta qualità letteraria, e le difficoltà incontrate negli anni’80, periodo in cui iniziò a scrivere racconti brevi, di cinque come di venti righe, quando ancora non esisteva il mito della brevità. La giornalista e scrittrice Alejandra Costamagna ha posto l’accento sul ruolo del lettore, che si fa attivo. Dato il linguaggio estremamente conciso dei microcuenti, il lettore deve completare l’informazione che non è espressamente dichiarata nel testo ma solo suggerita. L’informazione contemporanea legata alle nuove tecnologie può anche generare casi di creazione involontaria di microracconti. Come il primo messaggio inviato dai minatori cileni rimasti intrappolati: stiamo tutti bene nel rifugio noi 33. Un microracconto perfetto – chiosa la Costamagna.
Il discorso supera le frontiere tra i generi e le arti con Ricardo Domeneck, nato in Brasile e attualmente residente a Berlino. Preferisce usare il termine racconto, senza il prefisso micro, a prescindere dal fatto che questo abbia una o due o più frasi. Richiamandosi a Kafka e al suo “Il messaggio dell’imperatore”, evidenzia come un racconto possa essere al tempo stesso molto breve ma anche molto aperto.
Noi abbiamo ma siamo anche memoria, sostiene la scrittrice e traduttrice italo costaricense Zingonia Zingone. Il microracconto è una forma d’espressione minimalista e Zingone ne enumera alcuni punti cardine: massima sintesi, referenziamento, linguaggio metaforico, intensità, humor e incisività.
Lo scrittore Eduardo Rafael Heras Leon si fa portavoce dell’esperienza cubana: sull’isola il microracconto è molto apprezzato e diffuso anche tramite un concorso, prima nazionale, oggi divenuto internazionale.
Vive e lavora a Madrid, originario del Venezuela, Edgar Borges ribadisce il punto per cui il microracconto è anzitutto un’esigenza espressiva, la cui diffusione oggi è agevolata da internet. Il messicano Luis Felipe Lomelì, autore del racconto più breve del mondo, compie una breve ricognizione sulle origini del microracconto, partendo dal mondo orientale, pensiamo agli haiku giapponesi, si giunge al frattale, tecnica tipica di Argentina e Messico, che consiste nel mettere insieme più microracconti.
Per l’Ecuador e per il Perù intervengono gli autori Raul Perez Torres e Eduardo Gonzales Viana, l’uno tiene a sottolineare come il tema del sogno sia molto frequentato dal microracconto e l’altro come il microracconto possa nascere anche da un dialogo a più voci.
Il racconto più breve del mondo? “L’emigrante” di Lomelì, come anticipato sopra, un dialogo a due voci:
– Dimentica qualcosa?
– Magari