“Déjà vu. Diario di bordo di uno sconosciuto” di Alessio Rizzitiello
Approcciare a una recensione (in questo caso “Déjà vu. Diario di bordo di uno sconosciuto” di Alessio Rizzitiello) prevede, per chi ne faccia di mestiere, ritualità sempre uguali. L’enucleazione dei temi forti: qui, insistito e ricorrente, il lutto, tri-declinato (“della negligenza”, “della vanità”, “dell’oppressione”).
La notazione delle creatività più ardite (presenti nel libro di Alessio Rizzitiello), di norma per giustapposizione di concettualità: “noia di avvenire”, “muri di brace”, “lascito per passare”, “pupazzo di pezza”, “un sudore che non è complice”, “immagini incarognite”, l’ipocrita beota”. La scansione delle immagini ricorrenti: qui il treno e i colori, i loro nomi (sa di poesia pittorica, più d’un componimento). Il rilievo delle scelte stilistiche, consapevoli o meno: qui ricercato, trovato e ben offerto, lo stile nominale (Emozione rapida, p. 25; Gelido, p. 36).
Più rara la soddisfazione, specie leggendo il lavoro di un giovane (pur se non alle prime armi) Alessio Rizzitiello, di lasciarsi raggiungere da un’intuizione di contenuto e vederla, al trascorrere delle liriche, confermata nel progredire dei versi. Colpisce già da subito la tensione all’oblio (Titolo, p. 8); s’avverte, tra le righe, quello che altro non può definirsi se non un gaio e consapevole scollamento dal reale, dal fattuale (La vie, p. 77). C’è, evidente, rimozione di gioia, nelle pagine di questi volumetto (Monologo, p. 61). L’amore è sofferto, puntiforme, tradito o feticcio di materia (troppe guêpière, e pochi i volti).
Non si tratta però di deleteria coeva pulsione “emo” o avito afflato nichilista; non è cupio dissolvi, né arida masturbazione intellettuale: il rimosso qui è condizione sufficiente e necessaria a un viaggio dal sé a sé, d’autore o sconosciuto poco importa. Si disvela, al pari della chiosa cui sapientemente il poeta ci prepara parola per parola, verso dopo verso, un tutto diverso e denso universo di senso.