“Corpo stellare” di Fabio Pusterla
Recensione di “Corpo stellare” di Fabio Pusterla.Fabio Pusterla è autore, più precisamente poeta, di lungo corso, nella sua carriera, iniziata nel 1985, svettano due cime impressionanti: il Prix Gottfried Keller, prestigioso premio di poesia svizzero assegnatoli nel 2007 e due anni dopo il Premio Dessì.
Corpo Stellare è la sua penultima raccolta poetica, pubblicata da Marcos y Marcos nel 2010 (16,50 euro; p. 219) raccoglie in sei sezioni quanto Pusterla, seguendo una consuetudine, che si crede più o meno casuale, ha prodotto nei cinque anni precedenti alla data di pubblicazioni.
La poetica di Pusterla si pone con attenzione verso il mondo da cui emerge un linguaggio specifico, ricercato, elevato, degno di un nuovo lirismo fuso in una sorta di visione meccanica e disillusa del mondo dove ogni fatto o evento viene descritto come se l’immersione dell’io lirico nel mondo fosse sì parziale ‒ norma di tutto il novecentismo ‒ ma altamente profonda. I fatti a cui si interessa Pusterla vengono indagati con dovizia linguistica, il poeta cerca di far emergere la natura primigenia del sema, della parola, a volte l’ispirazione prende corpo da un passaggio biografico, da un viaggio, da un particolare, come accade in Gare Cornavin o nel terzo componimento di Aprile 2006. Cartoline d’Italia (p. 77):
Basta un raggio di sole per accendere
i pesci e gli animali sulle rive: e come splendono
le foglioline più chiare, e quelle pieghe
del marmo sulla smorfia dei dannati,
il bianco e le creature
d’Orvieto. Ma nel bar,
proni sopra i pulsanti, ragazzini
muovono calciatori virtuali, e ad ogni azione
s’illumina lo schermo d’un boato dagli spalti.
Anche mio figlio
è con loro stavolta; ma non sa
a cosa corrisponda il tasto verde, o quello blu,
e lo chiede lieto
ai suoi nuovi compagni. Che lo guardano
attoniti, di colpo senza voce.
Ma sei straniero, dicono, non sai
Neanche come si gioca? E il loro dubbio
Tecnico, non linguistico,
pare a me atroce.
La poesia è paradigmatica. Il procedimento alla base segue vettori epiforici di significato: Pusterla passa da una prima sezione (fino al v. 7) dove la situazione poetica è mossa da una descrittività quasi piana, riposante, ma viva ‒ si pensi all’«accendere» ‒, perfino la «smorfia dei dannati» sembra godere della beatitudine del raggio di sole del primo verso. La situazione è rotta dall’avversativo «Ma nel bar», proprio a metà del settimo verso, e si rivolge ad un momento privato in cui l’io lirico è solamente osservatore della situazione successiva fino a giungere negli ultimi tre versi ad un capovolgimento: il momento diventa spunto di una riflessione, seppur ironico, sul tecnicismo del linguaggio.
Diversi sono poi gli argomenti che meritano una codificazione poetica: si passa dall’osservazione della società in decadenza alla riflessione sulla dispersione degli italiani (p. 72), poesia che apre la sezione Aprile 2006. Cartoline d’Italia e trasmette un senso di malinconia indissolubile; malinconia approfondita ma non risolta dal poeta che può solo registrare gli eventi e le conseguenza, «furono dimenticati, proprio come volevano». La riflessione può essere anche indirizzata a teorie più cosmogoniche e ne è esempio Uomo d’alba, costruita, si legge nelle note finali (214), «sulla celebre beffa risalente agli anni 1908-1915» in cui lo studio del poeta è profondo «sono stati considerati principalmente i saggi di Steven Jay Gould […], il volume netto di Roger Lewin […] il saggio di Kenneth L. Feder […] sull’argomento si può però anche leggere un attentissimo intervento di Luigi Meneghello».
Due sono gli aspetti interessanti che si rincorrono tra le pagine dell’opera e sembrano permeanti alla poetica presentata: la struttura e il rapporto con il mondo animale. Di fatto in alcune sezioni diventano protagonisti gli animali, l’armadillo (riportato anche in copertina) è il principe della micro-sezione Storie dell’armadillo, quindici componimenti che narrano l’attraversamento del continente americano da parte dell’animale, forse in maniera più fantasiosa di quanto si possa credere rispetto alla sola lettura degli interessantissimi versi.
A colpire anche in questo rapporto, che sembra quasi teso a figurare un bestiario moderno, è la capacità di indagine, condotta sempre in profondità:
Il primo cane guaiva tra le tende degli uomini
guardando nell’occhio fisso dei lupi una preistoria
selvaggia
inconsapevole. Erano padre, madre,
qualcosa di perduto, foresta, nostalgia,
la lunga epoca muta alle sue spalle.
Quasi nemico, ormai, lacrima persa, libertà
Rinunciata per una rischiosa alleanza.
(Cani p. 31)
Semmai a pagare lo scotto di una poetica filosofica è il ritmo non sembra impeccabile, ma questa è senz’altro una rinuncia necessaria al rinnovamento lirico messo in atto da Pusterla.