“C’era una volta il Night” di Cataldo Amoruso
Recensione di “C’era una volta il Night” (Ensemble, 2015) di Cataldo Amoruso.
Storia di una giovinezza. Così si può descrivere, in estrema sintesi e senza paura di sbagliare, “Cera una volta il Night” (Ensemble, 2015), l’ultimo romanzo di Cataldo Amoruso. Dove i concetti di ‘storia’ e ‘giovinezza’ vengono esplicitati narrativamente con gusto dell’aneddoto, ironia, limpidezza stilistica, senso del ritmo, spietata autenticità e una manciata di sana nostalgia anti-melassa, caratteristiche che distinguono l’opera di Amoruso sin dagli esordi.
Un decennio, gli anni ’60, vissuto di notte, a Roma, dal protagonista e dalla sua banda. Musicisti da night, quel particolare agglomerato umano a metà strada tra il bordello di lusso e il caffè-chantant, scomparso col tempo o declassato ad attizzatoio per vecchi prostatici. Un decennio vissuto tra musica suonata e ascoltata, alcol, cibo a orari improbabili, sceicchi arabi, famosi attori di western, fini dicitori esistenzialisti, impresari all’amatriciana, politici gargarozzoni, sesso rapinato con dolcezza all’ora in cui i diurni si alzano per timbrare il cartellino. La stagione estiva a suonare tra Capri, spiando col binocolo da un’altura la Bardot cha fa il bagno nuda durante le riprese di un film, e una Rimini circense, eccessiva, felliniana.
Un decennio, gli anni ’60, irrimediabilmente andato. Com’è naturale. Come la giovinezza del protagonista narrata in questo romanzo, che si guarda sì indietro ma solo per dare ragione al poeta che cantava ‘…e alla fine della strada, potrò dire che i miei giorni li ho vissuti’.