“Casina” di Tito Maccio Plauto. Regia di Cristiano Roccamo
“Casina” di Tito Maccio Plauto è uno spettacolo prodotto dalla compagnia Teatro Europeo Plautino con la regia di Cristiano Roccamo, la cui performance alla Corte del Palazzo di Città di Locri si è svolta sabato 16 agosto.
La commedia, che privilegia forse più di qualunque altro testo plautino la dissacrante messa in scena della conflittualità dei rapporti tra pater e mater familias, con una vittoriosa rivendicazione finale di quest’ultima, ha come protagonisti il vecchio Lisidamo, interpretato da Corrado Tedeschi, e la moglie Cleostrata, impersonata da Barbara Bovoli. Annalisa Salis è invece Mirrina, vicina di casa della coppia e, almeno in apparenza, paziente coniuge di Alcesimo, rappresentato da Massimo Boncompagni.
Una riproduzione che si è mantenuta in larghissima parte fedele non solo all’opera originaria nei suoi contenuti, ma pure alla semplicità della scena tipica del teatro romano antico: due usci e quindi due case, rispettivamente a destra quella di Lisidamo e a sinistra quella di Alcesimo, e in mezzo alle due un grande arco, che è la pubblica via dalla quale faranno il loro ingresso Olimpione, fattore di Lisidamo interpretato da Mauro Eusti, e Calino, scudiero di Lisidamo impersonato da Antonio Salerno.
Sempre in perfetta coerenza con la storia originale, i grandi assenti nel corpo della rappresentazione sono Casina ed Eutinico, figlio di Lisidamo che alla fine convolerà effettivamente a nozze con questa fanciulla contesa da molti nonché da Lisidamo stesso, figlia del caso e quindi trovatella, che, nel canovaccio plautino, da ultimo si scoprirà essere di liberi natali e quindi finalmente affrancata dalla propria condizione di schiava, mentre nel corso della presente performance già il prologo anticipa il finale lieto per lasciare spazio, nello svolgimento della vicenda, ai temi del conflitto tra vecchi e giovani, della risibilità degli amori senili, del riscatto dei servi dai loro padroni, delle beghe che animano la vita di coppia e delle mogli che, se inizialmente succubi dei capricci dei propri mariti, riescono infine ad averla vinta facendosi addirittura beffe degli incorreggibili vizi dei coniugi.
Immediatamente consecutivo al prologo, che, da copione comico, consta di captatio benevolentiae rivolta ai cittadini locresi e al loro territorio, è rappresentato il tema della schiavitù del servo nei confronti del padrone e del marito in rapporto ai propri doveri coniugali, e si snoda attraverso il gioco di parole che Lisidamo fa furbescamente a Calino nel tentativo maldestro di persuaderlo a non sposare Casina, mettendo bene in evidenza, alla maniera plautina, come chi rimanga scapolo sia letteralmente ex capulum, “fuori dal cappio”, e della propria consorte, e del proprio padrone, giacché così, lasciando libera la fanciulla, Calino potrebbe ottenere di essere riscattato da Lisidamo.
Al tempo stesso, quella di Lisidamo non sembra essere solo una squallida messa in scena per ottenere i suoi scopi, perché il personaggio, da libertino incallito che abbozza a cantare «Com’è bello far l’amore da Trieste in giù» – omaggio, anche questo, al recitativo e alle parti cantate esistenti nella commedia plautina – , si mostra realmente solidale a quanti soffrono la presenza “ingombrante” di una moglie; definisce Cleostrata come «la Bestia», cerca di svignarsela al di lei controllo nei ripetuti botta e risposta che intrattengono, mentre lei, Cleostrata, si dispera, smania, si inquieta persino terminando qualche battuta con un latrato che appare una geniale trasposizione di quel verso del testo originale in cui, parlando di Plauto stesso, si fa riferimento al cosiddetto «nome che abbaia».
C’è inoltre il tema della solidarietà femminile, come quella tra Cleostrata e Mirrina e tra Cleostrata e la serva Pardalisca – una Maria Laura Caselli che di tanto in tanto esegue delle brevi arie al pianoforte accompagnando il movimento della scena – , c’è un frammentato dialogo con il pubblico nel momento in cui Cleostrata richiede complicità nella definizione dell’indole di suo marito, ed è finanche mantenuto l’espediente della rottura dell’illusione scenica, nel momento in cui Calino richiama in scena uno degli attori, chiamandolo col suo proprio nome, per farsi portare gli abbozzi delle battute dimenticate.
Se con Plauto il teatro latino era arrivato al punto di descriversi, svelando al pubblico i propri retroscena e rappresentando le sue maschere fisse in tutta la loro disadorna e vivacissima espressività, questa performance della compagnia Teatro Europeo Plautino, che ha avuto la sua prima nazionale lo scorso 15 giugno al Plautus Festival di Sarsina, pare mirare a restaurare gli elementi peculiari di quel lontanissimo mondo italico di cui, ancora oggi, siamo spesso eredi diretti nell’aggredire, poi deridere, e in conclusione perdonare e – temporaneamente – accettare le mancanze della nostra umanissima passionalità. Proprio come, a fine rappresentazione, faranno i nostri Lisidamo e Cleostrata.
Casina
Spettacolo interno alla VI Edizione del Festival Nazionale Teatro Magna Grecia, con l’organizzazione esecutiva a cura di C.T.M. Centro Teatrale Meridionale, e il patrocinio di: Città di Locri, Comune di Marina di Gioiosa Ionica, Comune di Gioiosa Ionica, Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria, Regione Calabria Assessorato alla Cultura.
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