“Il casale” di Francesco Formaggi
Recensione de “Il casale” (Neri Pozza, 2013) di Francesco Formaggi.
Sin dal titolo, il romanzo d’esordio di Francesco Formaggi, classe 1980, delinea l’ambito spaziale all’interno del quale l’intera azione si concentra.
L’incipit è netto, secco: “È andata così”. E subito l’azione vera e propria: Francesco e Giulia, coppia di fidanzati, si recano nel casale della zia di lei, Ester, per passare una settimana di vacanza. Immediatamente, però, una serie di avvenimenti indispongono il protagonista e rovinano l’atmosfera idilliaca che un’esperienza del genere dovrebbe assicurare. Tra tutti, il principale è l’alluce deforme di Giulia, “enorme, gonfio, tozzo, quasi brutale”. Questa scoperta – “possibile che non l’avessi mai notato prima?” – condiziona l’umore del protagonista che di certo non viene aiutato da altri particolari, come il cancello del casale che sembra un urlo, quando si apre.
Quello che doveva essere un periodo di vacanza perciò si trasforma in una sorta di incubo dominato dal sospetto che le cose non stiano in realtà come sembrano. Dopo il loro arrivo, altri parenti e conoscenti raggiungono la fattoria e pian piano i timori del protagonista si scoprono reali quando scompare Franco, il marito di Ester, forse allontanatosi volutamente o forse ucciso.
A questo punto la situazione precipita verso un finale in cui il protagonista perde ogni punto di riferimento e capisce che la cattiveria non è una disposizione individuale ma una possibilità universale: “Nessun male si compie di proposito, finché non ti ritrovi a farlo.”
Lo spazio chiuso del casale, quindi, diventa il campo in cui si muovono una serie di forze convergenti e contrastanti, in cui i personaggi sembrano amarsi ma in realtà si odiano o, peggio, si sono indifferenti, e che il protagonista scandaglia nel tentativo di fermare un caos che nasconde l’origine del tutto, “il foro da cui si stava aprendo la crepa”.
Formaggi costruisce il suo romanzo sulla cifra del grottesco e del perturbante – animali uccisi e torturati, deformità fisiche che simboleggiano deformità morali – e su personaggi stravaganti – come Clara, cameriera poetessa e forse prostituta – che disorientano il protagonista e gli impediscono di capire la verità prima che sia troppo tardi.
Sebbene il testo sia per lo più costruito su toni cupi e notturni, Formaggi alterna toni fortemente noir ad altri più leggeri attraverso un’abile costruzione della storia la cui tensione narrativa si risolve soltanto nel finale, quando tutti gli intrecci trovano una soluzione.
I punti di riferimento sono esplicitati nell’epigrafe: Laurence Sterne ma soprattutto il Witold Gombrowicz di Pornografia, da cui l’autore trae l’attenzione minuziosa per il particolare e la capacità di costruzione del perturbante.
Una prosa matura e densa, per un romanzo d’esordio, in grado di creare nel lettore una reazione emotiva continua; ed uno stile curato e preciso che porta avanti l’azione attraverso una serie di dosate prolessi che invogliano alla continuazione della lettura.
Il passo: “Rimasi a guardare la pista d’erba sulla quale ci eravamo rotolati, la sagoma che i nostri corpi avevano lasciato in mezzo al campo come un calco in memoria dell’estasi, e mi venne in mente che la mia vita era così – la mia vita, la mia persona tutta – una sagoma, un calco. Nient’altro che il calco vuoto di ciò che avrei potuto fare e dire ma non avevo mai fatto e detto perché ero sempre stato in attesa di trasformazioni mai compiute”.
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