“Breve storia di Amleto (o dell’inquieto rassegnarsi a un destino)”. Regia di Silvia Rubes
“Breve storia di Amleto (o dell’inquieto rassegnarsi a un destino)” è un atto unico messo in scena come prodotto del laboratorio dell’anno corrente condotto dal gruppo teatrale GRACT di Pisa, per la regia di Silvia Rubes.
La performance, un work in progress che ha conosciuto il debutto nelle serate dell’8, 9 e 11 giugno scorsi presso gli ambienti esterni della Chiesa Valdese sita in via Derna 13, è stata replicata il 13 luglio alle ore 21:30 nello spazio retrostante alla Piazza dei Cavalieri messo a disposizione dal DSU Toscana, e verrà riproposta in ottobre presso i locali del Teatro Rossi Aperto.
In scena, una selezione di sette personaggi dal testo originale shakespeariano: David Rocchi è Amleto, Lara Vegnuti è Ofelia, Mario Cortese è nel doppio ruolo di Polonio e Laerte, Elisabetta Biondi e Federico Luppichini sono la Regina e il Re, Elena De Vita veste i panni di Orazio.
La pedagogia teatrale portata avanti da GRACT, sotto la guida di Silvia Rubes, mira innanzitutto a rompere il consueto distacco fisico intercorrente tra attore e spettatore, restituendo una prossimità che non si traduce solo in una maggiore empatia e partecipazione, ma persino nella viva concretizzazione di un “porsi allo stesso livello”: un teatro che include lo spettatore nella pièce rendendolo parte integrante, accennando a chiamarlo quasi direttamente in causa.
Ma chi è questo nuovo Amleto che ancora sollecita la nostra attenzione, ha un’altra volta qualcosa da dirci, e, da secoli, non cessa di implorare «Amore mio, nelle tue preghiere, ricordati di me»? È un giovane uomo che, accanto all’esitazione davanti al dovere morale e all’eccesso di riflessione, non abbandona il suo stato di solitudine pur convivendo con altri, sta in continuo dialogo con se stesso, in un rapporto con la sua storia che si rinnova di continuo e che acquista sempre inedite sfumature. Al tempo stesso, nella solitudine, sembra non smarrire la sua attitudine alla ricerca di una condivisione, esponendo i propri pensieri nella speranza che ci sia qualcuno pronto a coglierli, ascoltarli, farli propri, e, chissà, magari ricambiarli.
Amleto, un ragazzo dedito allo studio, chiamato “pazzo” perché vede e rivela apertamente ciò che gli altri non possono o non vogliono riconoscere, divenuto effettivamente folle per non potere e non volere accogliere in sé le iniquità della vita, sciupa la propria camicia come Orlando che, vagando inquieto per i boschi, straccia l’armatura e mostra il più autentico e innato dei bisogni umani. Ma, mentre continua a chiedersi se sia meglio sopportare gli strali scagliati dalla vita o morire, pure non rinuncia a cercare con lo sguardo suoi possibili interlocutori, ad anelare ad affidarsi a qualcuno, sia questi il fedele amico Orazio, sia l’amata Ofelia, alla quale chiede un aiuto cui però, per incomunicabilità strutturale, non seguirà l’adeguata risposta, sia l’incantevole e fragile madre, da lui disprezzata proprio per l’indifesa e nociva fragilità, sia finanche il fantasma del padre, che interviene a moderare gli eccessi del suo furor, siano le persone che costituiscono il pubblico che lo sta seguendo e che, nella scena, vivono con lui.
«Il seminario con Maria Grazia Mandruzzato mi ha aiutato a essere più ricettivo verso ciò che mi sta intorno – dice David Rocchi – Ho capito che, in ogni personaggio da interpretare, ci deve essere un barlume di luce. Non solo tristezza, ma anche speranza in Amleto, lasciando, fino alla fine, quasi il dubbio che l’esito possa anche non essere quello che poi inevitabilmente sarà». In effetti il gruppo GRACT ha individuato un felice momento di crescita nella propria attiva partecipazione al progetto “TRAining”, portato avanti dall’organizzazione del Teatro Rossi Aperto, che in aprile scorso ha disposto, tra le varie attività previste, due laboratori di formazione teatrale con le note attrici e registe Maria Grazia Mandruzzato e Silvia Pasello. «In seguito all’esperienza con la Mandruzzato, mi sono fatta le domande giuste sul personaggio di Orazio – dichiara Elena De Vita – Mi sono chiesta, in particolare, come rendere la sua relazione con Amleto al di là dell’aspetto strettamente funzionale alla rappresentazione. Da lì, Orazio ha preso veramente corpo». È infatti sempre nella prospettiva di un contatto diretto con il pubblico che anche la reinterpretazione del personaggio di Orazio introduce una nota di originalità: Orazio non si configura esclusivamente come il punto di riferimento di Amleto, uno spirito fidato che accompagna il proprio protetto vegliandolo nei momenti clou, ma pure come una sorta di “io narrante” super partes che, dove necessario, coordina le interazioni tra gli altri personaggi sottolineando per lo spettatore, attraverso la vivacità del canto, la pregnanza dei brani d’azione. Le musiche originali di Francesco Foschi accompagnano la soave voce di Elena De Vita, facendo quindi della pièce un lavoro completo, una fusione di arti performative diverse.
Tuttavia, non è qui che si esaurisce l’Amleto di GRACT. C’è molto altro, nelle scelte tecniche sapientemente adeguate ai contenuti, così come nello svecchiamento dei più tradizionali espedienti teatrali: un momento di metateatro che corrisponde allo stesso tempo a un processo di reminiscenza e a un sottile gioco di fusione tra illusione e realtà; un efficace ritorno al neutro per la svestizione di Polonio e l’ingresso di Laerte; una calibrata e ragionata presenza di elementi attualizzanti che mirano a esprimere come Amleto sia ancora qui, vivo nell’epoca contemporanea, e che in ognuno può esserci un piccolo Amleto.
Inoltre, l’uso di spazi scenici variabili e non convenzionali riveste lo spettacolo di una luce costantemente inedita, perché un work in progress, per sua stessa definizione, è un’opera mai data una volta per tutte. «Quando abbiamo iniziato a provare all’aperto, si è rivelato molto utile il lavoro affrontato con Silvia Pasello – questa, la considerazione di Federico Luppichini – Abbiamo imparato a coltivare gli stimoli provenienti dagli elementi dello spazio esterno e a riflettere su come sfruttarli per la resa del nostro spettacolo». A ciò, la regista Silvia Rubes aggiunge: «In seguito al seminario con la Pasello, abbiamo ripreso la problematica relativa allo spazio già introdotta nel corso di nostri lavori precedenti, immaginando proprio lo spazio in cui si sarebbe concretamente svolta la vicenda di Amleto, per poi riportarlo nella scena reale, lavorando in analogia. Ecco che, a questo proposito, l’area esterna della Chiesa Valdese muta in un salotto borghese, i fusti degli alberi si trasformano in colonne portanti, i lampioni si rivestono di cappelli in stile vintage diventando, così, lampade da salotto».
Il prossimo appuntamento con “Breve storia di Amleto (o dell’inquieto rassegnarsi a un destino)” si terrà in ottobre all’interno dei locali del Teatro Rossi Aperto; l’esclusività dell’ambiente settecentesco e la suggestione delle sue caratteristiche arcate a sesto acuto faranno rivivere, ancora una volta, l’incanto di una storia senza tempo.
Breve storia di Amleto (o dell’inquieto rassegnarsi a un destino)
Lavoro svolto con il patrocinio del Consiglio degli Studenti dell’Università di Pisa e il contributo finanziario del DSU Toscana.
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