“Borgata Gordiani” di Aldo Colonna
C’era una Roma che era quella dei soprannomi, delle grattachecche, delle borgate intorno alle torri fuori le mura. C’era una Roma che si raggiungeva con i tram della speranza o a piedi, senza preoccuparsi delle marane e dello sporco, degli sguardi indagatori e delle puttane.
C’era una Roma che era una linea discontinua che univa la città dal Mandrione a Fiumicino, passando per le consolari arrivando al mare, all’isola sacra, all’idroscalo di Ostia.
Quella era la Roma “violenta” dei ragazzi di vita, di Accattone, dei bar di Casal de’ Pazzi opposta a quella opulenta di via Veneto e raccontata divinamente da Pier Paolo Pasolini, lui friulano ma figlio adottivo dell’Urbe.
E lo scrittore di Casarsa della città sapeva molto, moltissimo, anche troppo: ne conosceva i pensieri e il respiro, persino i suoi pregi e i suoi limiti.
Ci hanno provato in molti a raccontarla come lui, un po’ ci riuscì Bellezza, un po’ meno Siti, troppo legato allo stereotipo di un Pasolini in minore.
Sicuramente riesce Aldo Colonna in un racconto degli anni settanta lungo e intenso, fino ad ora inedito, pubblicato dalla casa editrice Skira e appena apparso in libreria.
L’ambiente-Roma è un vortice di parole svogliate, dette col tono di voce delle famiglie popolari, è un cielo di un celeste così forte che smania di penetrare nelle coscienze delle persone.
Leggendo questo libretto ci immergiamo non in una città ma nel respiro della città, nel battito compulsivo del suo cuore, nel suo itinerario squisitamente finito.
Protagonisti sono i ragazzi di vita – quelli che portano la “tragedia” sempre sotto pelle – che vivono e sopravvivono trascinandosi in lungo e largo. Si danno dei soprannomi che farebbero sorridere oggi se film e telefilm che mitizzano quegli anni non li avessero riportati di modi: si chiamano “Er carrozziere”, “Er comunista”, “Er Matricida” e conoscono i codici d’onore non verbali e l’odore di chiuso delle carceri. Hanno famiglie dissestate e non hanno lavoro ma hanno l’amicizia, hanno il “volemose bene”.
Tutto è così profondamente anti-romantico che diventa puro romanticismo: un ossessivo succedersi di azioni che sembra essere trainato da una forza impulsiva, primordiale, preurbana. Non vi è nulla di etereo, ogni cosa è terra sotto i piedi e fango; si vive e si muore senza la sacralità dell’una e dell’altra.
La Borgata Gordiani oggi è un quartiere dei tanti, studenti mescolati a immigrati di prima e seconda generazione, famiglie popolari che hanno sfiorato il benessere. La periferia che è periferia davvero è da tutt’altra parte: oltre la cintola del raccordo, oltre l’immaginario urbano.
Ma allora, raccontata con gli occhi di “uno di quelli”, è la sintesi della desolazione, dei sogni irrealizzati, della poesia che non deriva dai salotti ma dai corpi, dal sudore, della pellaccia di chi ancora è capace di soffrire.
Grazie Matteo,dietro la tua recensione c’è cultura,c’è storia,c’è conoscenza. Grazie. Aldo.