Alcune poesie inedite di Paolo Mazzocchini
“Palinodia di Orfeo”, “Deus ridens”, “Sottovento”, “Photoshop” e “Ipotesi d’assenza” sono alcune poesie inedite di Paolo Mazzocchini.
Palinodia di Orfeo di Paolo Mazzocchini
Albero senza vita della vita,
Amore: trofeo ignudo al quale ognuno
con me invano appese il suo ex voto
come alle braccia di un suo materno
e capriccioso iddio. Totem di preti, sedicenti
profeti e poeti, piazzisti di imminenti
paradisi e svenduti scribacchini
di partito. Ognuno, curvo in paziente
processione, ti consacrò il suo dono: statuine
fallomorfe, marchi di proprietà truccati
da miti dèmoni no profit, affamate
solitudini in icona di dame
di carità votate altrui, confezioni
cuoriformi tintinnanti di monete
d’oro. Di tanto t’avevamo rivestito,
amore. E quando a fine estate un fortunale
blasfemo ha seminato al suolo
le tue smentite religiose
spoglie, eccoti: tronco senza
foglie, gonfio d’acqua
e di sole, divergente in bronchi
tisici, storti del peso
assente, le crepe dei nodi
a stento vellutate
dal muschio. Priapo
nebbioso, frale
strumento musicale
fra le dita del vento.
Deus ridens di Paolo Mazzocchini
Dio esiste, mente
senza corpo, e se la ride
beatamente d’averci fatto
corpo con la mente.
Sottovento di Paolo Mazzocchini
Nei giorni di libeccio in via
Lumumba passeggio, spettatore
intatto dal vento, rasente al muro
a secco che sorregge un vallo
compatto di case rosa e giallo
impallidito, finestrelle occhiute
e sghembe, intonaco graffito
di muffe e di varici esplose
a fior di vernice. Percorro un terrapieno
d’aria lucida e calma, balcone
sul pianoro che sfuma nella rada.
L’ombra mia mi segue in piatta
quiete, sagoma netta che avanzando
appena si frastaglia in cima, fra ciuffi
d’erba e il guardrail al ciglio della strada.
In alto il vento è un fiume in piena,
sfarina nuvole, involve nel suo lagno
felino lame nere di rondini, cartoni
e foglie, tortura fronde sulle nuche
degli alberi come trecce d’alghe
l’ira della corrente. Dalle grondaie
tracima scivolando oltre la nicchia
di cristallo qui, che mi consacra, salvo
sul piedistallo di un portone. Vaso
colmo dell’hybris d’una effimera
grazia osservo nel vortice disfatto
le ceneri indignate di un mondo
da me altro lontanare
stridule precipitando
nell’ombelico del mare.
Photoshop di Paolo Mazzocchini
Amiamo moltiplicarci dentro specchi
benevoli, come nel mare – la sera, pacata
la burrasca – si sciolgono nei semi di un quadro
impressionista le case a picco sugli scogli
e il molo sbrecciato, e nevicano pupille
abbacinate di lampioni dentro il liquore
svanito della bassa marea. Così nel chiaroscuro
della stanza spigoli vivi, ombre scalene
da tavoli e soprammobili sbreccati
si inarcano flessuosi nel calice
di un bicchiere, sfumano nel cristallo
smerigliato come fiori avvelenati
di vecchi ricordi tralucono
beatificati dal vetro del già
vissuto, teneri come ninfee
nel lago sotto un velo
di ghiaccio a fine
inverno.
Ipotesi d’assenza di Paolo Mazzocchini
Se dovessi andarmene
adesso, ti resterebbero vestigia
immemorabili di me: ciabatte
spaiate sul pavimento, l’incavo
in dissolvenza sul cuscino del mio
fondoschiena, occhiali da presbite
male arrovesciati – astuccio sbadata
mente aperto – sul centrino che con
cura certosina ricamavi per il nostro
anniversario d’argento. Composto
simulacro mio sullo schienale
della sedia di vimini, di guardia a un
fascio gualcito di giornali, apparirebbe
solo la camicia di flanella che stiravi
con appuntito zelo ieri sera. Svagati
sedimenti del mio transito nel cosmo
appena disturbato della stanza: l’impronta
imperdonabile del pollice – un po’ unta
in trasparenza – sul touch screen
del tablet, già dissimulata da granuli
di polline e di forfora leggera. La polvere
di sole che mulina nel calco d’aria
di me, assente, sul divano. La pagina
che una bava di corrente dall’uscio
semichiuso gira – impunemente, senza
il mio permesso – di là dell’ultimo
sacro confine del segnalibro.