Addio Maria Luisa Spaziani
Il personale saluto di Leone D’Ambrosio a Maria Luisa Spaziani, grandissima poetessa che ci ha lasciati lo scorso 30 giugno.
Maria Luisa Spaziani, una delle voci più importanti della poesia mondiale contemporanea, se n’è andata, questa volta per sempre, in un religioso silenzio, nella sua casa romana, all’ultimo piano del n. 44 di via Cola di Rienzo, che io conosco bene, tra i suoi libri e i suoi versi sparsi in ogni angolo, impregnati persino nei muri e negli oggetti a lei più cari. Maria Luisa era stata per ben due volte candidata al Nobel per la letteratura ed è stata coronata due anni fa, al compimento dei suoi novant’anni, dai prestigiosi “Meridiani” di Mondadori, curato da Paolo Lagazzi. Ci telefonavamo spesso e l’ultima volta che sono andata a casa sua a trovarla è stata non più di una settimana, per farle dono della mia ultima raccolta di poesie che ha la sua bella prefazione. A lei mi legava da tantissimi anni una grande amicizia. Con lei parlavamo soprattutto di poesia. Della sua poesia, dei suoi viaggi, del suo teatro, delle sue traduzioni francesi, e dei suoi amici poeti, della sua “amicizia amorosa” con Eugenio Montale, di Elémire Zolla che fu anche suo marito, ma anche di Leonardo Sinisgalli, Libero De Libero, Giorgio Vigolo, Sandro Penna, per citarne qualcuno. E per onorare la memoria del poeta di “Ossi di seppia” di cui conosceva tutti i versi a memoria, nel 1978, la “Volpe” a “Eusebio” (così amavano chiamarsi, testimoniato anche dalle numerose lettere che i due poeti si sono scritte) gli dedica un premio di poesia e il Centro internazionale Eugenio Montale.
“La poesia, o meglio la parola che per me è il più alto punto sacrale della poesia, e non può andare più alto di così, come verità assoluta- mi ripeteva – è un grande dono che viene dall’alto. La poesia è, a suo modo, una preghiera.”
Maria Luisa Spaziani è vissuta per la poesia e nella poesia. Una poesia elegante la sua, dal tono alto e con una visione cosmica, ma sapeva essere anche ironica, come i suoi celebri aforismi, tradotti anche in inglese e in francese. Il critico Luigi Baldacci parlava di “una poesia con la coscienza di dire cose brucianti e private e di poterle dire solo attraverso un materiale di riporto, attraverso cioè il recupero di un linguaggio che, mentre dà compiuta espressione al sentimento, lo proietta come riverbero su un cielo lontano: quello di una classicità godibile di per se stessa, prima che per il messaggio”.
Se n’è andata un’amica, se n’è andata una madre, che ha “offerto all’amico poeta il massimo riconoscimento possibile: l’identificazione simpatica o simpatetica con quel sentire specifico. Mi ero messa, insomma, sulla sua stessa lunghezza d’onda, ritrovavo le ore della morte di mia madre, le sue parole erano le mie, a lampi sua madre era mia madre”, come si legge dalla sua prefazione al mio ultimo libro dedicato a mia madre. E Maria Luisa mi mancherà, come mi manca mia madre.