«Alba» di Thomas Tsalapatis
Recensione di Alba (Mama, 2022) di Thomas Tsalapatis, raccolta tradotta da Viviana Sebastio. Articolo di Gianluca Minotti.
Con l’uscita di Alba per Mama Edizioni, e grazie alla traduttrice Viviana Sebastio e al lavoro dell’Agenzia Letteraria Edelweiss, prosegue in Italia la pubblicazione delle opere di Thomas Tsalapatis. Avevamo lasciato lo scrittore greco alle prese con il signor Krak, uno strano tipo che, in piedi su un barile di aringhe, osservava il cielo con distacco e malinconia, e adesso lo ritroviamo tra i quartieri di una città misteriosa in cui «gli uccelli affondano come pietre nel cielo» e dove «spesso si incontrano variazioni di una stessa immagine» che l’autore registra nello strenuo tentativo di cogliere le simmetrie e le sottili differenze e di fermare, così, il tempo. Ora e per sempre: capovolgere l’ovvio, cercare attraverso la parola – attraverso l’occhio che registra – di cristallizzare una sensazione, strappandola dal perituro mondo terreno affinché possa protendere le sue radici nel cielo. Come nell’immagine emblematica del bosco capovolto che si estende al di là della “città invisibile” di Alba e che, «sospeso, stilla parole e lettere di una trascrizione procrastinata».
C’è una tensione costante nella scrittura di Thomas Tsalapatis. Una tensione che ritroviamo anche in questo libro, nel quale, come già per L’alba è un massacro signor Krak, l’autore ricorre alla forma breve, quasi a sfidare le stesse leggi gravitazionali della poesia e del racconto, con l’obiettivo di trascenderle entrambe per restituire il senso di un lavoro atto a sottrarre. A sgravare peso all’esistente, affinché possa magari lievitare.
E così ecco che siamo noi i tetti azzurri delle case di Alba che, dalle fondamenta, trascinano i palazzi verso il cielo. Così come siamo sempre noi che tiriamo su da un pozzo scavato nelle viscere della terra, un secchio sazio di sangue.
La verticalità, si potrebbe dire, accade nello scorrere delle pagine, di visione in visione, e squaderna il tempo, i giorni che passano, l’ordine dei quartieri attraversati, la loro numerazione, come se Alba fosse il diario di una settimana in cui tutto si confonde e dove un’immagine si specchia nell’altra, così come il nome della città diventa il nome di una donna che tutto comprende e grazie alla quale ogni cosa, per riflesso, è generata.
Gianluca Minotti