«Isole» di Igor Traboni
Recensione di «Isole» (Ensemble, 2020) di Igor Traboni.
Le Isole di Igor Traboni galleggiano nella moltitudine della nostalgia – piccole macchie di terra nell’andare dei giorni verso i giorni, nel fluire perenne dell’acqua della vita.
L’isola è da sempre in letteratura la meta del viaggiatore, la sua bussola di salvezza, il quesito interiore del naufrago alla ricerca di sé stesso.
Cambiare significa spingersi dove il dire e il tacere vestono gli abiti del tempo che ritorna con ostinazione a farsi presente: Ostinatamente sole / le ore, nude a tratti: / dire e tacere (I-sole).
È il silenzio per Traboni il delicato protagonista delle sue Isole vestite a sprazzi – il silenzio che risale in superficie e nuota nei passi che restano uguali, meravigliosamente uguali, oggi e ieri.
Il silenzio del mare aperto confonde l’uomo adulto e il bambino che non è più; il tramonto e l’alba indaffarati a raccontare l’evolversi, perché mentre si è, tutto è già ricordo – Quel poco che resta / è il rumore / di un silenzio senza più odore (Cosa non ha funzionato?).
Così, eccole le isole del ricordo e della presenza… dietro di noi, dietro certi angoli.
Ma la malinconia non è soggetto, non è risultato di tutto questo vagare e disperdersi. La pazienza di colui che vive per le cose belle porta in dono il premio più importante. La ricerca è sempre la risposta per chi si lascia contaminare dal lungo viaggio delle proprie isole nascoste. E, infine, il porto ci sorprende; il rifugio promesso, dopo pagine, capitoli, una vita intera.