“Vergogna tra le due sponde” di Ezzat el Kamhawi
Recensione di “Vergogna tra le due sponde” di Ezzat el Kamhawi.
Nell’immaginario collettivo è sempre più frequente la sovrapposizione fra il problema dei flussi migratori nordafricani e quello – sempre più urgente, come dimostrato anche i drammatici eventi del 29 giugno – del terrorismo internazionale. Questa sovrapposizione, difficile da confutare soprattutto quando l’onda emotiva prodotta dagli attentati spinge a massificare in senso negativo ogni riflessione, non aiuta di certo a restituire il problema migratorio agli unici criteri che lo rendono davvero comprensibile: quelli della storia e della socio-antropologia. Il testo di Ezzat el Kamhawi, con lucidità, coraggio ma anche con passione, riesce a fare proprio questo: indirizzare il pensiero e la riflessione verso il terreno corretto su cui affrontare e comprendere i problemi legati agli sbarchi di disperati.
Il primo passo è quello di passare da una lettura generalizzante del problema alle sue specifiche ragioni “nazionali” (in questo caso egiziane, nel quale assume un’importanza fondamentale il contrasto fra la realtà rurale e quella cittadina) perché è corretto, per comprendere il problema degli immigrati, recuperare la dimensione delle singole realtà locali che li generano e rinunciare ad una interpretazione generalizzante del fenomeno che vorrebbe spiegare tutto e invece non spiega nulla. Il secondo passo, correttamente illustrato nelle pagine centrali del testo, è quello di analizzare le dinamiche sociologiche e economiche prodotte dalla modernità sulle singole dimensioni culturali locali, con i conseguenti devastanti mutamenti, spesso volutamente guidati – a distanza, secondo argute logiche post-coloniali – dall’Occidente e dalla sua economia capitalista.
Ne emerge un quadro desolante, nel quale appaiono con chiarezza gli stravolgimenti culturali prodotti dai nuovi sistemi economici (smantellamento delle strutture e delle gerarchie familiari tradizionali) e, soprattutto, dalla lenta ed inesorabile spinta verso uno sterile consumismo che vanifica la capacità di sviluppo economico potenzialmente possibile grazie al flusso di ricchezza degli emigrati regolari. La conclusione, decisamente pessimista, è che l’Egitto – malgrado i fermenti civili degli ultimi anni – appare destinato ad essere sempre di più un “mercato”, inteso nel duplice significato di fornitore di manodopera (a bassissimo costo) per l’Occidente e fruitore di beni (soprattutto tecnologici) da questo prodotti.
Il testo di Ezzat el Kamhawi ha anche il pregio di affiancare all’analisi dei fatti le singole storie di alcuni suoi connazionali emigrati in Italia, dimostrando come cronaca quotidiana, giornalismo e analisi socio-politica siano un continuum irrinunciabile per comprendere a tutto tondo la complessità dei problemi della nostra modernità.