Ignazio Silone: credere e non credere

Ignazio Silone: credere e non credere

Ulteriore contributo del prof. Dario Biocca al dibattito su Ignazio Silone, nato da un articolo del prof. Alessandro La Monica.

Tutto il dibattito su Ignazio Silone:

Silone: quale dissimulazione? di Alessandro La Monica

Ignazio Silone: nuovi spunti di riflessione di Dario Biocca

Silone: il grano e il loglio sotto la neve. di Alessandro La Monica

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Ringrazio Alessandro La Monica per le sue osservazioni. Rinuncio tuttavia a una compiuta replica perché richiederebbe lunghe pagine che ho già pubblicato nei miei studi su Silone, ai quali rimando per verifiche e approfondimenti; le sintesi, inoltre, sono inadeguate ad affrontare argomenti così complessi Ho spiegato già nella biografia, per come potevo, in quale incubo e doppiezza Silone visse fino al 1930 e ciò che fece, negli anni successivi, per iniziare una nuova vita. Non tutti condividono le mie conclusioni ma è naturale che i punti di vista divergano e l’interpretazione di alcuni documenti non convinca. So anche, per esperienza, che a volte la rilettura e la riflessione inducono a modificare le proprie idee e i giudizi.

L’asticella però, come spiegavo nel precedente commento ospitato da PL, ogni volta si alza puntando a dettagli e particolari che sembrano non coincidere. Non basta più neppure la confessione, l’ammissione a viso aperto della colpa – una testimonianza davvero rara tra le carte di polizia ma che questa volta invece possiamo leggere per intero: mi riferisco alla lettera, riprodotta anche da La Monica, indirizzata da Silone all’Ispettore di polizia Bellone nel 1930. Silone definisce il Partito comunista, di cui era allora tra i massimi esponenti, “cretino e criminale” e ricorda i “lunghi e leali rapporti” intercorsi con il funzionario. La lettura del documento dovrebbe porre fine a ogni discussione invece, come sappiamo, per alcuni la questione rimane aperta. Mi limito quindi a rispondere ai punti evidenziati da La Monica che mi sembrano di particolare rilevanza, nella speranza di non annoiare i lettori con dettagli di natura metodologica e archivistica.

In primo luogo non era mia intenzione insinuare che La Monica avesse utilizzato materiali e lavori di altri appropriandosene; mi dispiace per l’equivoco e chiedo scusa allo studioso. Volevo invece ricordare, perché è importante, che La Monica non ha condotto indagini in archivio ma ha accolto le osservazioni di altri che, certo, risultano citati accuratamente in nota. Non tutti gli autori ai quali La Monica si affida, tuttavia, dimostrano la stessa competenza storiografica; alcuni sono politicamente schierati e, per propria stessa ammissione, sono spinti a priori alla “difesa” di Silone – è il caso, per esempio, di Giuseppe Tamburrano e della moglie, Gianna Granati. Non intendevo alcun sarcasmo, inoltre, in espressioni come “chiasso mediatico”, “tempesta in un bicchier d’acqua”, ecc. Si tratta di titoli di articoli e frasi più volte usati in passato nel corso delle polemiche sul caso Silone (da Mimmo Franzinelli a Sergio Luzzatto e altri ancora, non da me.)

La determinazione che Silone fosse un informatore della polizia già prima del 1928 si basa su tre elementi principali e coincidenti: il primo è la presenza costante di una spia di alto profilo all’interno del Partito comunista e, in particolare, nelle sue organizzazioni all’estero. Il secondo è che l’informatore inviava le sue relazioni sempre e solo al commissario Bellone, un funzionario della Questura di Roma — che non aveva competenza per le indagini condotte all’estero – invece che alla Direzione generale di PS. Non vi erano altri informatori, neppure uno, che agissero in modo analogo – se non per spostamenti temporanei e missioni. La Questura inoltrava quindi le notizie pervenute dal fiduciario al Ministero dell’interno, effettuando ogni volta una triangolazione. L’informatore, come si apprende dalle carte, si rifiutava infatti di avere rapporti diretti con altri funzionari o uffici investigativi. Il terzo elemento è il contenuto delle informative che corrisponde agli incarichi politici, i luoghi di residenza e le notizie di cui Silone (a volte solo Silone) era a conoscenza.

È evidente, ma è ben difficile dimostrarlo in poche righe, che la certezza dell’identità di Silone-Silvestri viene confermata anche dallo studio della rete di informatori di cui la polizia in quegli anni disponeva. Insieme a Mauro Canali, con un lungo lavoro in archivio, abbiamo individuato i nomi e i ruoli ricoperti da ciascuno, l’attività svolta all’interno delle organizzazioni comuniste e infine valutato il danno arrecato alle strutture clandestine del movimento rivoluzionario. Silvestri-Silone, il “fiduciario T”, non può essere confuso con alcun altro informatore per intelligenza politica, capacità di analisi e linguaggio. Ricordo ai lettori che Mauro Canali ha rinvenuto e pubblicato anche gli originali manoscritti delle relazioni la cui grafia è, manifestamente, di Ignazio Silone. L’attribuzione al commissario Sabatini di alcune carte provenienti dalla Francia, ipotizzata da Tamburrano, riflette solo una incompleta conoscenza della documentazione. E’ in questo caso, dispiace dirlo, una sciocchezza.

Manoilskij o Manonilsky, il Signor Rakoci o il “pinguino”, il Longo con mandato di cattura, il partito di Togliatti e non di Gramsci, il convegno di Como, ecc. Possibile che Silone sbagliasse grossolanamente, come Bettiza, Tamburrano e altri hanno già chiesto più volte? Non me ne voglia La Monica ma insieme con Canali lo abbiamo già spiegato, anche noi più volte. A trascrivere le informative e a trasformarle in “relazioni fiduciarie” (a volte accorpando diversi documenti) erano i funzionari della Questura di Roma. Il loro compito era (anche) eliminare, prima dell’inoltro ad altri uffici, tutti i riferimenti che consentissero la identificazione del fiduciario, che doveva restare segreto. Per dirla con semplicità: gli accenni alle condizioni economiche dei familiari, alla depressione e al desiderio di abbandonare ogni attività politica, rinvenuti in una informativa del 1924 e ricordati già da La Monica, sono preziosi perché consentono di identificare Silone-Silvestri ma costituiscono anche un “errore procedurale”, un’eccezione. Anche le imprecisioni nella trascrizione dei nomi dei dirigenti del Komintern sono imputabili non a Silone, che quegli errori non avrebbe commesso, ma ai funzionari di polizia addetti alle macchine da scrivere.

Anche le date sui documenti non si riferiscono alle relazioni manoscritte originali ma all’inoltro delle carte dalla Questura di Roma alla Direzione di Ps. Come in altri uffici pubblici, anche in quelli di polizia, con ogni evidenza, si verificavano ritardi e si commettevano a volte errori per disattenzione, stanchezza, difficoltà nel decifrare documenti manoscritti e altro ancora. Tuttavia, concentrare l’attenzione sulle imprecisioni formali riscontrate in alcune carte e ignorare il quadro complessivo della documentazione non rappresenta la soluzione del problema. Alimenta invece la polemica e genera incertezza. Chi, se non Silone, inviava quelle relazioni dall’interno del movimento comunista? In quindici anni di ricerche in archivio, polemiche e contro-verifiche, nessuno ha avanzato alcuna ipotesi – tranne Indro Montanelli, secondo il quale la spia deve identificarsi con Carlo Silvestri (!) – ma si tratta, evidentemente, di un abbaglio.

Negli anni 1925-6 le informative di Silone-Silvestri, osserva La Monica, divennero improvvisamente rarissime, nel 1926 una soltanto. Perché? La risposta non è semplice né si può escludere un temporaneo “ritrarsi” di Silone – un’ipotesi che tuttavia considero improbabile. Il lavoro in archivio è stato condotto sulle carte della Direzione generale di Ps perché i fascicoli della Questura di Roma non sono ancora consultabili. L’assenza di informative nel 1925-6 si spiega con il trasferimento di Silone a Roma per assumere la guida del “SAP”, l’Ufficio stampa agitazione e propaganda del Partito comunista. Il fiduciario, seguendo la prassi della Questura di Roma, avrebbe ora trasmesso le notizie a voce in incontri riservati con il funzionario di polizia e non più per corrispondenza. Le informazioni, inoltre, non sarebbero state inoltrate alla Direzione generale di Ps poiché le indagini riguardavano i comunisti attivi a Roma. Allo stato attuale delle ricerche, in attesa di poter consultare le carte della Questura, non possiamo quindi che formulare ipotesi. Sappiamo tuttavia che, appena Silone lasciò Roma e poi l’Italia, la trasmissione delle notizie riprese con le consuete modalità. Bellone, nel frattempo, fu trasferito dalla Questura alla nuova Divisione polizia politica.

Ricordo che nell’estate del 1926 quasi tutti i dirigenti dell’Ufficio “SAP” di Roma furono catturati dalla polizia in una operazione coordinata da Bellone. Tutti finirono in carcere con gravi accuse tranne Silone il quale, riconosciuto casualmente in Piazza Colonna, fu condotto in Questura. Qui l’Ispettore Bellone, nel rilasciarlo con un foglio di via, dichiarò che l’identità di “Silone”, il nome in codice rinvenuto tra le carte sequestrate al “SAP” e identificato come uno dei capi comunisti a Roma e collaboratore del quotidiano l’Unità, risultava: “sconosciuta a questo Ufficio”. Bellone mentiva, naturalmente — e i fascicoli delle indagini lo dimostrano. Pochi mesi più tardi, tuttavia, le leggi “fascistissime” avrebbero decapitato i vertici del Partito comunista con decine di arresti e deferimenti al Tribunale speciale; caddero anche Antonio Gramsci e Umberto Terracini. Bellone salvò il suo giovane amico dall’arresto e da una lunga detenzione. Si comportò, nelle parole di Silone, “da galantuomo”. Non tutti i comunisti erano uguali, non tutti i poliziotti.