“Cieli violati” di Anna Vasta
Recensione di “Cieli violati” (Edizioni Ensemble, 2013) di Anna Vasta.
La raccolta di poesie di Anna Vasta Cieli Violati, arriva a casa in una busta da lettera. Come un invito a nozze, una lettera di un amico, un biglietto di auguri o di ringraziamenti.
Delicata la veste dell’edizione come le successioni in rima baciata e alternata che raccontano un male di [troppo] vivere. È l’eccesso di vita in una terra dal passato e dal presente controverso che rende i versi di Anna Vasta pieni di emozioni dicotomiche. Forse vi si potrebbe paragonare lo specifico della poesia irlandese di Heaney, terra bella di fama e di sventura.
Perché qualunque forma di narrato dolore stride, nelle poesie di Vasta, con una vitale e irruenta Sicilia. Dove non esistono tinte cupe, anche quando si cercano. Dove la vita può solo esplodere e manifestarsi, incurante di ogni forma di dolore umano. Come una donna bellissima… ad un funerale.
Persino la morte di Cristo si tinge di una passione ricca di colore, distanziandosi dalla sua accezione greca (pathos, sofferenza passiva). La passione in [viola di passione] diventa colore e vita, quasi blasfema nella sua irruenza.
Tutti gli elementi sono presenti nei campi semantici scelti, mai casuali. Tra terra e foglie, vento e aria, fiumi, mari (immancabile mare) e acqua, il campo semantico prevalente resta, nonostante tutto, il fuoco. Laddove terra, acqua, nubi e foglie alla fine sembrano condurre sempre al sole, laddove ogni cosa si muta in brace (cit. [il fiume], pagina 39), anche quando si parla di morte e caducità, tutto rimanda al calore.
Ritmica la sua poesia, si articola in strofe graficamente dislocate, a destra e a sinistra. Come nei passi di una quadriglia. O i passi di un ubriaco.
Tra i giochi di allitterazioni e parole presenti in molte strofe, molte delle quali da leggere con google aperto (o un dizionario di lingua), come nel caso di [cosa avanza…], la docente e scrittrice siciliana sfida il lettore a conoscere le emozioni quasi fisiche che la lingua italiana può dare, attraverso vocaboli ormai desueti ma ricchi di secoli di storia e vita.
Il lettore viene accompagnato, ebbro e disorientato, in un’esperienza di lettura che si sviluppa in uno spazio poetico e geografico quasi shakespeariano, in cui è brutto il bello, è bello il brutto. Dove ‘Tutto qui è precoce. E tutto muore in fretta/ Tutto corre e precipita e tutto è fermo’.