“Nel regno dell’Ade” di Edoardo Vitale
Recensione di “Nel regno dell’Ade” di Edoardo Vitale.
Uno studente che la mattina dell’esame, invece di alzarsi, lascia suonare la sveglia e richiude gli occhi, è L’uomo che dorme di Georges Perec. Il “dormiente” decide da quel momento in poi di educarsi all’indifferenza per ogni cosa, di tenersi lontano da ogni progetto e desiderio e di ritirarsi dal mondo. Ma non ne scompare del tutto.
Io immagino che il protagonista potrebbe così ritrovarsi in un luogo onirico, una realtà parallela simile al “regno dell’Ade” di Edoardo Vitale, giovane poeta esordiente che sceglie dunque Perec come nume tutelare della sua prima silloge.
Inizia così il suo e il nostro viaggio nel sottosuolo: con la luce spenta ci ritroviamo a brancolare nel buio della sperimentale poetica dell’autore. Uso della punteggiatura totalmente scevro da qualsiasi tipo di regola, utilizzo di segni altri, appartenenti al mondo dell’informatica e in alcuni casi adusi a creare un gioco grafico, producono un ritmo sincopato atto a evidenziarne il messaggio di cui sono portatori. Ma è il lavoro con i significanti a prendere il sopravvento nella sperimentazione del poeta: scomposizione di parole, allitterazioni, enjambement, inversione di termini disorientano e attraggono il lettore.
Ma nel regno dell’Ade creato da Vitale non ha da perdere ogni speranza colui che entra: nonostante il macabro e l’oscurantismo abbiano il sopravvento, è un luogo ancora popolato da divinità femminili – Hi’iaka e Namaka, dee hawaiane, Dafne dalla mitologia greca, Inanna, dea sumera dell’amore – e dove c’è quindi ancora la possibilità che qualcosa possa nascere. Lo conferma il fatto che per la mitologia greca, Ade oltre ad accogliere presso di sé i morti, dimorando sottoterra, aveva la capacità di beneficare i vivi, favorendo la vegetazione ed elargendo agli uomini i preziosi metalli che la terra nasconde. Così dal sottosuolo può emergere bellezza e dalla distruzione la vita.