“I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”. Intervista al giudice Ferdinando Imposimato
“I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”. Intervista al giudice Ferdinando Imposimato.
Ferdinando Imposimato ha seguito, come magistrato l’inchiesta sulla strage di via Fani e il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro. Si è occupato anche di lotta ai sequestri di persona, di terrorismo, di mafia e di camorra, oltre che dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II. Nel 1983 il fratello Francesco, sindacalista, viene ucciso da Cosa nostra per una vendetta trasversale e a partire dal 1987 – per tre legislature – viene eletto al Parlamento come indipendente di sinistra, facendo parte della Commissione antimafia. Dopo il recente incontro con gli studenti del liceo scientifico E. Majorana di Latina, il giudice Imposimato è tornato a raccontare la sua verità sul “caso Moro”, presentando nei giorni scorsi a Sezze, nella sala polifunzionale “Colonne di Tito “, i suoi due ultimi libri editi da New Compton editori: “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” e ”La Repubblica delle stragi impunite”.
Se non fosse morto Aldo Moro, a distanza di questi trentacinque anni, come sarebbe cambiata l’Italia?
“Sarebbe cambiata in meglio, perché Aldo Moro era il più grande statista che aveva l’Italia dalla nascita della Repubblica. Un uomo di grande capacità politica, di grande moralità e sicuramente avrebbe trovato una soluzione ai vari problemi dell’Italia. Aldo Moro era l’artefice della Costituzione repubblicana e aveva in mente di attuare una programmazione pubblico-privata che tenesse conto dei bisogni e delle esigenze di lavoro. Quindi aveva le idee ben chiare e si preoccupava degli interessi generali del bene comune e non degli interessi privati di gruppi politici che lo volevano condizionare.”
Lei ha dimostrato nel suo libro, grazie a documenti inediti, che a uccidere lo statista democristiano è stata la “Ragion di Stato”, in quanto personaggio scomodo, il delitto venne eseguito dalla Br ma con il beneplacito di alcuni politici. Anzi fa proprio dei nomi ben precisi?
“Per la verità non gli ho fatti io questi nomi. C’è stato un testimone americano che si chiama Steve Piecznick, il quale è stato qui proprio durante in 55 giorni, un testimone diretto, non sospettabile di essere persona che voglia danneggiare. In quell’occasione vengono fatti i nomi di Andreotti e di Cossiga, i quali tramarono per l’uccisione di Aldo Moro. Questo Piecznick non è stato mai sconfessato da nessuno e credo che non sia stato sentito, ma ha lasciato dei documenti da cui risultava che c’era questo complotto contro Alo Moro.”
Perché, secondo lei, vi sono “nomi e cognomi” di politici responsabili delle stragi di piazza Fontana e di via D’Amelio.
“Io ho detto che le stragi di piazza Fontana e di via D’Amelio non sono solo opera del terrorismo, sono opera anche di pezzi purtroppo dei servizi segreti. Del resto lo ha detto anche Maletti, il quale ha affermato che l’esplosivo di piazza Fontana veniva da depositi della Nato. Questo praticamente è un fatto molto grave che è stato accertato. Poi c’erano altre dichiarazioni di altri testimoni che dimostrano che sia nella strage di piazza Fontana che nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio c’erano uomini di Ordine Nuovo che hanno partecipato. Non sono cose campate in aria, secondo me ci sono prove abbastanza convincenti nella partecipazione di elementi della massoneria, di Gladio e uomini della mafia che si sono prestati a queste operazioni.”
Lei è convinto che Emanuela Orlandi non sia morta e che invece sia stata rapita e portata in Turchia o in un paese del Medio Oriente?
“Secondo me Emanuela Orlandi non né stata uccisa. Sicuramente c’erano i motivi per non ucciderla, perché era diventata la compagna di uno dei suoi rapitori e quindi era molto amata da lui. E poi, anche data la sua giovane età, io credo che sia ancora viva.”